Ne avevo sentito parlare, di quella felpa dell’Avellino Calcio, con sul petto la scritta verde “Lupi” in campo bianco che, indossata all’affollato concerto del Forum di Assago il 19 aprile del 2008, aveva portato all’attenzione dell’Italia tutta la cittadinanza onoraria concessagli dal paese irpino di Vallesaccarda, da egli così appunto ufficialmente omaggiato in tale prestigiosa sede. Quanto al resto, conoscevo “Yanez” per averla vista a Sanremo, e particolarmente apprezzata in quanto membro anch’io a mia volta eccentrico, per origini e logistica geografica, dell’associazione salgariana veronese.
Tutto qui, sino ad allora. Ed anche se il verde è pur sempre anche il colore della Lega Nord e quindi fa sempre una bella figura in un palasport milanese, per me era comunque già abbastanza per proporre una gita sui generis ai miei giovani amici di Info Irpinia, che invece fanno strenua valorizzazione turistica e sociale del nostro bellissimo ma depresso e sfortunato territorio. “Vi porto a sentire un cantautore lombardo molto amato qui da noi… poi scoprirete perché” gli ho detto per convincerli. In realtà mi aspettavo un’altra banalissima felpa; quello che invece ho trovato è che lui apprezza davvero il nostro forte vino di Taurasi, così come i ragazzi sotto al palco capiscono benissimo il laghee, il dialetto del lago di Como nel quale sono state composte pressoché tutte le sue canzoni. Ma non solo: perché Davide Van De Sfroos oggi ha inserito nel suo repertorio persino una storica tarantella napoletana (sostituisce, dal vivo qui all’altezza del 41° parallelo, gli intemezzi strumentali di cornamusa de “La Poma” che si possono ascoltare sull’album), e nei bis si cimenta addirittura in una sua personale, strana quanto emozionante versione di “Brigante se more” di Bennato e D’Angiò. Strana perché i raddoppi consonantici tipici dei dialetti campani, da applicare a momenti alterni per i soli soli plurali femminili o nei casi di moto a e da luogo, sono una regola talmente complessa e difficile da azzeccare per qualunque forestiero e dunque neppure De Sfroos fa eccezione quando spesso li sbaglia; ma anche emozionante, perché uno che canta in napoletano con accento forestiero, e purtuttavia minaccia di cacciar via i piemontesi con tale foga, ti fa comunque un certo effetto. Normale a questo punto che alla fine di ogni nuovo bis (siamo arrivati al terzo) ripartisse il coro “fino a domani mattina!”, mentre lui replicava soddisfatto e marpione “ma sono le due passate… è già domani mattina!” e ripartiva ancor più marpione con le note di “Je so' pazze” di Pino Daniele, cantata stavolta dal suo violinista, sempre nel tripudio generale.
Lo devo ammettere, mi è sempre piaciuto tanto, il popolo della Padania, fin da quando ero ragazzino. E ancora oggi nelle chiacchiere da bar tra noi altri terroni soccombo regolarmente schiacciato da una salva di insulti e di inviti a varcare la linea Maginot una volta per tutte e per sempre, visto che ci vado tanto d’accordo. In effetti quello che ammiro di più nei nostri nordici connazionali è quella eterna voglia di mettersi in discussione, di confrontarsi sempre con tutti e su tutto, quel sorprendente e a tratti ingenuo sapersi stupire ed entusiasmare che qui in Magna Grecia noi navigati e raffinati intellettuali disfattisti abbiamo ahimè perso da secoli. E così finisco sempre per ritagliarmi il ruolo del Totò a Milano, della serie che con me più Totò e più Milano di così non si può... ah, a proposito proprio di Milano, lo dovete sapere che quell’altra vecchia storia che spesso ti raccontano che a Milano ci puoi anche morire per strada perché tanto nessuno si ferma a soccorrerti... è falsa! Io lo so per esperienza diretta! Una volta, parecchi anni fa, scendevo al volo dal tram per correre in Fiera dove ero atteso e in ritardo (ma che scenetta deliziosa! Lo vedete che più milanese di così non si può?) e sono scivolato in piena Piazza Duomo sotto la pioggia battente. L’altra cosa che ho battuto è stata la testa sull’asfalto, ed ho anche rotto e perso le lenti dei miei occhiali in una profonda pozzanghera. Altro che Totò, Fantozzi direi. Ebbene, si sono fermati in tre, per pochi secondi e va bene perché erano le nove di mattina e a Milano non si poteva certo star lì a perder tempo, ma intanto comunque si sono fermati, e uno mi ha anche suggerito di andare a farmi visitare in ospedale. E poco conta allora, a questo punto, che verso la fine del concerto ad un certo momento sia spuntata fuori una bella ed ipnotica versione de “Lu rusciu de lu mare” (e qui va riconosciuto che i risultati raggiunti da Davide nella padronanza del musicalissimo dialetto salentino sono anche migliori, complimenti!), poco importa che giri su YouTube una sua spiritosa traduzione in sardo de “Il Cimino” (per tacere delle bandiere indipendentiste e degli altri svariati tributi sempre esibiti nelle numerose date sull’isola), qui la faccenda è quella e quella rimane, che cioè ci siamo sentiti tutti a nostro agio e a casa, lui e noi.
Che a casa nostra c'eravamo già, e va bene, ma non abbiamo potuto fare a meno di identificarci negli interrogativi posti nel “calderon de la stria” (la bella metafora del pentolone malefico dove metti tutto quello che proprio con capisci, o che non vuoi capire, o che comunque ti delude e non ti va giù), nelle storie dei contrabbandieri del lago perdenti come i nostri briganti, nei sogni sgangherati ad occhi aperti coltivati nella parimenti sgangherata “machina del ziu Toni”, nell’orgoglio umanista e pacifista del soldato di ogni fronte e ogni epoca che saluta per sempre il suo “sciur capitan” o nelle surreali invettive in lumbard degli improbabili indiani padani di “Hoka Hey”. Perché questa è l’Italia che ci piace: quella dove tutti siamo uguali, nei sogni, nelle sconfitte e nella voglia di rialzarsi, di uscire una volta per tutte, proprio come “il minatore di Frontale”, dalla nostra personalissima, buia e profonda galleria e salvarci, tutti insieme, da Nord a Sud, dall’Alpi alle Pir… all’Appennino, al Tavoliere alle isole. Bravo Davide, che riesci a farti voler bene dappertutto, e non è mica poco! Ma adesso basta parole, godiamoci la musica: