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Lunedì, 15 Luglio 2013 11:34

Lost in Chinatown

 Toronto, Canada, agosto 2006. Da un paio di giorni fa un bizzarro caldo infernale, la colonnina di mercurio tocca i 109 Fahrenheit (43° Celsius) e la metropoli è in fibrillazione per la storica emergenza! Nei notiziari le raccomandazioni a centellinare i consumi dell'aria condizionata si alternano a spiritosi reportages sull'assalto alle piscine comunali: quasi quasi andiamo a tuffarci anche noi… Ma proprio ora va in onda la notizia più divertente: qualcuno ha avuto un attacco di diarrea in acqua (?!?) e la piscina è stata sgomberata per un paio d'ore! Adesso però – ci rassicurano i cronisti – è di nuovo tutto ok e si può tranquillamente tornare a bagnarsi. Sarà, ma forse è meglio se cambiamo programma...

 Così siamo finiti a fare shopping a Chinatown – per forza, sono ospite di un amico africano sposato ad una filippina - in un pazzesco, enorme, labirintico discount sotterraneo a più piani, gestito e frequentato da soli cinesi. E' un posto del tutto invisibile dalla strada, ed anche se avessi potuto notarlo non credo che avrei mai avuto il coraggio di entrarci, sarò l'unico bianco nell'intero isolato... ad ogni modo qui si fanno davvero ottimi affari! Cercavo un grosso borsone, e ne avevo trovato uno magnifico per sei dollari canadesi. Meno di cinque euro, ma per il mio amico era ancora troppo caro: e infatti me ne ha scovato uno più grande e più bello per soli quattro dollari! Dopo di che dobbiamo pensare al pranzo; la cucina asian real taste è per me un po' dura da reggere, e purtroppo sono falliti anche un paio di commoventi esperimenti italian style fatti in casa in mio onore, prima con delle fette di prosciutto (“questa è la carne degli italiani” ha spiegato seria la mamma ai bambini sospettosi e schifati) e poi finanche con una normalissima pizza… perché dovete sapere che in America la pizza si morde sempre piegata a ciabatta e dunque, quando io invece ho servito loro il trancio a triangolino dritto dritto, i pargoli l'hanno impugnato con il sugo rivolto verso il basso, con l'ovvio risultato di lordarsi orribilmente.

 E allora... ristorante italiano, ormai è deciso! Si chiama “Vinni Zucchinni”, e provate un po' a tradurlo voi se ci riuscite. Il gestore i bambini lo chiamano Mr Cappuccino (let's go to mstrkepcìno! cinguettano felici), la cameriera è polacca, il menù è una formula all you can eat fatta per lo più di lasagne e spaghetti alla bolognese, ed infine il tutto viene presentato in una fiabesca, esaltante location in stile Chianti. Seduto vicino a me c'è un altro amico dei miei ospiti, un lucano emigrato da più di trent'anni. Ma Pisticci... esiste ancora? Mi chiede scettico. Ed io a questo punto non so proprio cosa rispondergli...