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Sabato, 07 Febbraio 2015 18:18

Paese che vai... “Osnangeles” di Francesco Mandelli

 Ho trovato assai interessante la lettura di “Osnangeles”, recente uscita per i tipi di Baldini & Castoldi di Francesco Mandelli.

 Va anzitutto chiarito che Osnangeles non è un romanzo, né un racconto e neppure un diario, proprio come Mandelli non è esattamente uno scrittore, e neppure soltanto un attore nel senso stretto del termine. Un po’ come già accadde a Giorgio Faletti, e per certi versi in singolare assonanza d’intenti con lui, l’autore ha inteso con questo suo eccentrico lavoro voler evolvere la sua sostanziale notorietà da intrattenitore comico (di cui ricordiamo le apprezzabili gags con il duo “I soliti idioti” e la partecipazione a qualche cinepanettone) in direzione di una più critica consapevolezza dei contenuti da veicolare attraverso i propri distinti, eclettici ruoli artistici e televisivi (musicista, performer, conduttore radiofonico, interprete di fiction etc).

 Ed è proprio per questo che Osnangeles non è un prodotto letterario prevedibile, quanto piuttosto una summa di estemporanee, impietose considerazioni al tempo stesso esilaranti e potentemente drammatiche, che ci conducono all’esplorazione di un mondo ugualmente ambiguo, per tanti versi a noi familiare, quanto per molti altri ancora innominabile e segreto: quello della provincia italiana contemporanea.

 A stereotipo di questo microcosmo, il paese brianzolo di Osnago, residenza e teatro delle quotidiane avventure del giovane Mandelli, luogo che egli presenta e lucidamente descrive come fulcro simbolico di infinite remote opportunità, paradossi e amarezze. Osnangeles, appunto: una triste, complicata, contraddittoria California nostrana.

 E così, a volte come se fossimo in uno dei suoi tanti sketch, altre come invece sul palco di un teatro off underground o all’interno in una vecchia pellicola hard-boiled, ecco snocciolarsi implacabili, uno dietro l’altro, episodi d’infanzia e di educazione sentimentale, apaticamente vissuti nel contesto di una disperazione quotidiana tanto evidente da assurgere a materia di boutade da avanspettacolo, quando non di riflessione filosofica: veri e propri concentrati di malessere spinto e disturbante.

 Al di là del nonsense demenziale e della grassa risata per le situazioni sconce che ahimè abbondano, sono proprio i momenti in qualche modo tragici quelli che giocoforza restano più impressi.

 Come la rievocazione della nefasta spedizione familiare al Mercatone dell’Arredamento di Fizzonasco, che già deve scontare la perversione di voler affrontare a tutti i costi l’acquisto di un mobile immediatamente fuori Brianza (“In Brianza siamo specializzati in mobili, tessuti e cassoeula, ma questa volta l’ha avuta vinta la grande distribuzione del milanese”), e si sviluppa man mano in crescendo in un tesissimo psicodramma, che tcca alte punte di crudeltà prima con la punizione quasi divina del furto - siamo nel passato degli anni novanta - dell’autoradio nel parcheggio (“son stati i singari” “che bruta gent che ghe in gir”) ed infine con la privazione della agognata bistecca a cena (“La voglio al sangue, Daniela! Con le patate”) che, unica ultima insufficiente consolazione dopo una giornataccia inenarrabile, non si può mangiare perché, ciliegina sulla torta, ci si era dimenticati di tirarla fuori dal frigo e lasciarla a scongelare. O lo spietato quadretto infernale dei giorni dell’asilo, l’indicibile orrore dei quali viene mirabilmente riassunto nella lapidaria sentenza finale che recita: “Alzarsi presto la mattina, andare in un posto che odiavamo e respirare merda divenne presto un’abitudine e quindi la normalità: aspettavamo di diventare grandi, aspettavamo che succedesse qualcosa”. O ancora il lungo, realistico, disgustosamente imbarazzante dialogo di due anonimi avventori da bar, con oggetto il sesso infoiato di una leggendaria ninfomane incrociata via web (“Portoghesina è il suo nickname” “abita vicino a Brescia ‘sta qui” ”Brescia non è proprio dietro l’angolo ma tanto cos’hai di meglio da fare?”), sbattuto senza pietà sulla pagina nelle sue mille variegate sfumature di squallore e violenza implicita. 

 Liberamente richiamando un po’ Verga, un po’ Spoon River, un po’ Twin Peaks, una terra senza speranza di redenzione, marcia fino al midollo, dannata senza essere per giunta neanche bella: questa è Osnangeles, e chi è senza peccato scagli la prima pietra… perché tanto lo sappiamo, anche se sicuramente ci costa fatica ammetterlo, che nel paese di ognuno di noi è più o meno lo stesso.